Un paziente con Malattia Reumatica presenta un maggior rischio di sviluppare una malattia Oncologica e viceversa? Risponde la Dott.ssa Elisabetta Battaglia
A cura della Dott.ssa Elisabetta Battaglia
Specialista Medicina Interna già Responsabile UOD Reumatologia ARNAS Garibaldi
Ci viene spesso chiesto se un paziente con Malattia Reumatica presenti un maggior rischio di sviluppare una malattia Oncologica e viceversa se nei pazienti con malattia oncologica si può sviluppare una malattia reumatologica. Sicuramente esistono rapporti complessi tra tali malattie. Esiste un rischio intrinseco di sviluppare, anche in un secondo momento, una neoplasia in paziente con malattia reumatica. L’associazione fra Artrite Reumatoide e malattie linfoproliferative (Linfomi, leucemie) è noto da tempo ed è più frequente in soggetti con malattia più aggressiva, nei fumatori, con Fattore reumatoide elevato e con concomitante M.di Sjogren, ma è meno frequente il rischio di sviluppare neoplasia della mammella, ovaio, prostata.
Il rischio di sviluppare un tumore polmonare correla molto con il fumo. La ricerca di eventuale comorbidità oncologica deve essere sempre attenzionata nei pazienti poco responsivi alla terapia con persistente elevati indici di infiammazione e rapida progressione di malattia. Anche nel Lupus e nella sindrome di Sjogren specie di lunga durata è aumentato il rischio di malattie linfoproliferative. La Sclerodermia si accompagna ad un maggior rischio di sviluppare Adenocarcinoma dell’esofago e Neoplasie della cute non melanomatose. In corso di Miositi infiammatorie e Dermatomiosite e nella Polimialgia Reumatica è maggiore il rischio di sviluppare neoplasia gastrica, ovarica e polmonare.
Campanelli di allarme che inducono a ricercare una possibile comorbidità neoplastica sono rappresentati dalla rapida progressione della malattia Reumatologica, dalla sua scarsa sensibilità al trattamento e dalla persistente e protratta attività di malattia. Al contrario molte Neoplasie maligne (20-40%)sono in grado di innescare Sindrome paraneoplastica reumatologica, caratterizzate da una serie di segni e sintomi in organi lontani dal tumore e non dovuti ad una metastasi con poliartrite febbre e astenia marcata (Poliartrite Paraneoplastiche).
Il trattamento con farmaci biologici innovativi pone problemi di sicurezza che devono essere noti ai medici e ai pazienti affinché la terapia possa essere effettuata in condizioni di tranquillità. La preoccupazione di un aumento del rischio neoplastico in corso di terapia con farmaci biologici è da escludere sia che si impieghino farmaci anti TNF alfa, sia che si impieghino farmaci con differente meccanismo d’azione. Bisogna però tener conto che chi si sottopone a terapie innovative deve sottoporsi a controlli specifici e nel momento in cui si decide di intraprendere una terapia con tali farmaci è assolutamente necessario accertare se esista o se in passato vi sia stata una neoplasia.
Nei soggetti che hanno una storia di pregressa patologia neoplastica, i farmaci biotecnologici devono essere impiegati solo dopo aver valutato il rapporto rischio beneficio, le caratteristiche del farmaco che si intende impiegare, il tipo di neoplasia pregressa ed il tempo intercorso tra il momento in cui si decide di somministrare il farmaco e l’accertata guarigione o eradicazione della neoplasia stessa. È necessario eseguire periodicamente controlli di sicurezza finalizzati alla verifica dell’insorgenza di eventuali condizioni neoplastiche. Recenti studi hanno rilevato una stretta associazione tra insorgenza di malattie reumatologiche e trattamento antitumorale.
Molecole impiegate per l’immunoterapia di alcuni tumori come gli inibitori dei checkpoint immunologici nei tumori polmonari e renali e in donne in trattamento con letrozolo anastrazolo e exemestane (inibitori dell’aromatasi) per pregresso K mammario e ovarico, possono sviluppare artralgie con tumefazioni che colpiscono prevalentemente le piccole articolazioni (mani polsi piedi e caviglie) con spiccato dolore, spesso rigidità mattutina e mialgie. Il tempo di insorgenza è vario da alcune settimane a mesi. La motivazione sembrerebbe essere la riduzione degli estrogeni, che hanno un potere antalgico, stimolando il rilascio di oppioidi nel midollo. L’obesità peggiora tali quadri.